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Storia


Si vuole sia l’antica Vertinae, edificata dagli Enotri o da Filottete, eroe greco che, secondo una leggenda, dopo la caduta di Troia, giunse con i suoi uomini nei territori della presila e fondò assieme a Chone, altri piccoli centri tra cui Vertinae. Se ne trova menzione negli scritti dello storico greco Strabone. Verso il 500 a.C. Verzino passò dalla dominazione dei Sibariti a quella dei Crotoniati i quali, giunti nel paesello, “sfruttarono le miniere di ferro, di zolfo e d’argento nonché cave d’alabastro e una sorgente d’acqua sulfurea ivi esistenti. Il territorio andava ancora rinomato per la terra chiamata Ripoli con cui venivano pulite le gioie, e per le erbe medicinali. Abbondante era pure la selvaggina nelle sue montagne”.
All’epoca i Verzinesi vivevano nelle piccole pantalitiche, ripiani di grotte collegate da piccoli sentieri, che tuttora si possono osservare sul fianco occidentale della collina detta Sperone dove è racchiuso il centro storico.
“Come Casale di Cariati ne seguì le vicende feudali, passando dai Sangiorgio (1291), ai Ruffo (1417), a Gerolimo, Visconte da Cariati (1479), agli Spinelli che nel 1668 lo alienarono ai Cortese.”
Dopo la confisca operata dai Borboni ai danni del Duca Nicola Cortese macchiatosi di fellonia, il feudo di Verzino passava a far parte dei beni della Regia Corona. Correva l’anno 1746. I nostri antenati, sottratti alle unghie del rapace feudatario, conobbero un periodo di vita tranquilla e laboriosa, anche se di non lunga durata.
Era costume in quel periodo storico che i feudi confiscati ai rei di Stato venissero amministrati da un Regio Generale Amministratore il quale provvedeva ad affittarli a persone di sua fiducia, chiamate Regi Conduttori. Così nel 1782 veniva designato in qualità di regio conduttore del feudo di Verzino, don Nicola Barberio Toscano da San Giovanni in Fiore. Il nuovo Barone si rivelò un uomo malvagio e soprattutto rapace, degno continuatore della stirpe dei famosi “lupi” che dissanguarono i nostri più lontani antenati. Spinto dalla cupidigia di acquistare il feudo, piano che gli riuscì nel 1804, non mancò, come Regio Conduttore prima e come barone poi, di rendere dura la vita ai coloni che già avevano perduto, a seguito dei diversi passaggi di amministrazione, molti diritti sui terreni feudali: di pascolo, delle acque, di allignamento ecc. Mentre i Borboni, per quanto fiscali, lasciavano vivere, il nuovo padrone si abbandonò ad ogni sorta di iniquità e di violenze che alimentavano le sofferenze degli abitanti del feudo e finirono per determinarne la ribellione.
Incominciarono a protestare apertamente e nel 1796, quando Napoleone si affacciava in Italia, si mandò una delegazione a Napoli per rappresentare al re le misere condizioni di vita delle nostre popolazioni.
A guidarla troviamo la figura di un coraggioso assertore dei diritti popolari, il sacerdote don Vincenzo Arcuri di Savelli all’epoca casale di Verzino, persona dotta e stimata da tutti per la sua condotta esemplare. La protesta irritò non poco il feudatario, che si vendicò in maniera spietata sul povero sacerdote. Fattolo catturare dai suoi scherani, venne esposto ad un feroce martirio.
Il Congresso di Vienna e la conseguente restaurazione borbonica riportano il problema dell’occupazione delle terre allo stato precedente.
Anche la ventata rivoluzionaria del 1848 viene intesa più che in senso politico-nazionale in senso economico-sociale. Per le nostre popolazioni era sempre vivo il problema delle terre e i moti rivoluzionari offrivano un’occasione favorevole per riprendere l’occupazione arbitraria delle terre già iniziata nel 1806 a seguito della Legge eversiva della feudalità.

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